Tropico Mediterraneo by Stefano Liberti

autore:Stefano Liberti
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: i Robinson / Letture
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2024-01-15T00:00:00+00:00

A Mazara, nel regno del gambero rosso

Per misurare l’ampiezza della crisi bisogna andare qualche decina di chilometri più in là, a Mazara del Vallo, sede della più grande flotta di pesca italiana. Qui una volta c’erano 400 pescherecci che solcavano in lungo e in largo tutto lo Stretto di Sicilia e anche oltre. Nei gloriosi anni Ottanta, quando i mazaresi erano i padroni del Mediterraneo, il canale alla foce del fiume Mazaro che sbocca al mare era talmente pieno di barche che lo si poteva guadare a piedi saltando da uno scafo all’altro. Tanta era la richiesta di marinai per le battute di pesca che qui si sono venuti a stabilire migliaia di tunisini, che hanno ripopolato la kasbah, l’antica città costruita nel IX secolo dopo Cristo dai conquistatori arabi, riconquistata dai Normanni, poi caduta in rovina e infine ripopolata dagli immigrati venuti da sud. Mazara è un esempio forse unico in Italia di città a due strati, in cui ci sono due comunità parallele, quella degli autoctoni che vivono fuori dall’antico centro arabo e quella dei tunisini che stanno nella kasbah. Due comunità che si incontrano sulle navi, dove i mazaresi fanno i capitani e i tunisini i marinai. E dove anche le paghe, secondo il contratto detto “alla parte”, sono diverse a seconda della funzione. Tolte le spese e la parte che va alla nave, cioè all’armatore, tre parti vanno al capitano, due e mezzo al motorista e una al marinaio. Con una divisione rigida su base etnica, perché i lavori più di pregio sono destinati agli italiani, quelli più umili e meno pagati ai tunisini.

A guardarla da una prospettiva storica, la saga dei mazaresi somiglia a un’espansione senza freni, che li ha visti primeggiare in tecniche di pesca, inventare nuove strade, battere territori inesplorati, usando un misto di scaltrezza e spregiudicatezza, e garantendosi introiti vertiginosi. Furono pionieri nell’arte marinara, nell’immediato dopoguerra con le barche a vela, poi a partire dagli anni Sessanta con la motorizzazione, infine con i colossi della pesca a strascico che battono il mare a caccia del nuovo oro rosso, l’Aristaeomorpha foliacea, quel gambero dal colore purpureo richiesto dai ristoranti stellati di tutto il mondo e da consumatori disposti a pagarlo a peso d’oro, che non per altro ha fatto esplodere di gioia i fratelli Lombardi sulla barca di Amoroso.

Oggi però di quei fasti passati non è rimasto molto: il porto è l’ombra di sé stesso, il canale è vuoto e alla marineria di Mazara sono registrati una settantina di pescherecci, che i nuovi annunciati incentivi alla demolizione appaiono destinati a ridurre ancora un po’. Distrutta dall’eccesso di pesca, dall’aumento smisurato del prezzo del gasolio e dalla concorrenza dei paesi della riva Sud, la flotta di Mazara resiste ancora, sia pure ridimensionata, per un’unica ragione: quel crostaceo rosso che proprio il genio dei mazaresi ha permesso di valorizzare come prodotto d’eccellenza. Il suo successo planetario è nato da queste parti, tanto che viene normalmente denominato gambero rosso di Mazara, anche se la dicitura risulta

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